IL NASO DI TERESA

TRA AMORI E DISAMORI, FRAGRANZE E TANTI COLPI DI SCENA, UNA STORIA AVVINCENTE DI SOLIDARIETA’ FEMMINILE IN UN ROMANZO OTTIMISTA ED EMOZIONANTE

La storia delle donne legate al progetto del profumo Acqua di zagara la racconta nel 2037 una giovanissima aspirante scrittrice per il suo saggio di scrittura creativa. Anche se non ne è stata testimone, i fatti che riporta fanno parte della memoria della sua famiglia. Per l'elaborato da presentare ha raccolto ricordi di parenti e amici e letto diari e agende del tempo, ricostruendo la vicenda delle donne, (tra cui c'è anche sua madre), e quella di Francesco Scuderi e della sua famiglia, che dell'acqua di zagara sono stati gli inventori negli anni Trenta del Novecento.

Acqua di zagara infatti è il nome di un'essenza famosissima in Sicilia, esportata in tutta Europa fino agli anni Settanta, ed è anche un progetto nuovo per salvare dalla crisi economica Teresa, palermitana residente a Milano per amore, che, nel 2017, si trova in difficoltà con suo figlio Davide, quando il marito decide di trasferirsi a Barcellona, ufficialmente per lavoro, in realtà già sentimentalmente fuori dal matrimonio.

Residui del profumato tesoro di famiglia, dimenticato da anni, si trovano in un magazzino di Palermo. Ed è dal magazzino, anzi, dalla decisione di disfarsene, che comincia la storia di questo romanzo.

Sette donne, provenienti dalla Sicilia, ma anche da Milano, da Parigi, da Roma e da Barcellona faranno risorgere l'azienda offrendo al mercato anche un esempio di armonioso lavoro al femminile.

L’incontro tra le sette donne – in realtà sono sei più una antagonista - e il loro obiettivo comune avverrà per ‘coincidenze’ che uniscono le une alle altre.


A dx: l’affollata presentazione di Roma al Clivo Bistrot, il 27 novembre. In foto Federica Bruno di Porto Seguro, a

sotto: a Firenze con Antonella Maraviglia, al Caffè degli Artigiani, il 9 dicembre

a dx: 21 dicembre a Roma ENOTECA LETTERARIA di San Giovanni.

Si spruzza acqua di zagara (sul tavolo la scatola) per entrare nell’atmosfera giusta.

Con la scrittrice Francesca Romana De’ Angelis.

Sopra: con Claudia Hassan e Nicola Longo, che hanno parlato del mio libro, facendomi scoprire molte cose che non avevo deciso a tavolino. E questa è la magia della scrittura.

A Spoleto il 3 gennaio 2023 alla Biblioteca Comunale Carducci di Palazzo Mauri, presenta il libro Anna Leonardi, autrice radiotelevisiva, amica di lunga data.

A dx il pubblico di Palazzo Mauri annusa l’essenza di zagara offerta dalla Profumeria Mariangela di Spoleto.

Un’ esperienza olfattiva è sempre utile ai primi dell’anno nuovo: ci ricorda che siamo fatti di sensi, e che ogni tanto vanno utilizzati di più, anche per rimettere in moto la memoria, come ha detto un signore del pubblico, evidentemente appassionato di madeleine proustiane.

:::ho appena finito di leggere il libro di Simona,che mi ha piacevolmente aiutata a trascorrere i pomeriggi,come mi ha scritto nella dedica!Io adoro il profumo di zagare e quasi,a tratti mi sembrava di sentirlo...complimenti Simona🍊🍋👏👏👏 (Graziella)

:::Mi sono addormentata alle 5! Tutta colpa del tuo libro ( se non mi addormento alle 21 e 30 ....) (antonella)

:::È bello il libro di Simona, però anche lei si è lasciata incastrare dal metodo "spezzatino"

:::Ho finito di leggere il tuo bel libro, ho trovato alcuni passi delle vere chicche. 🙂😘 (Vincenzo)

:::È bellissima la tua opera 🥰 (Caterina)

_L A L U C E D I K A B E



L'imbarco era previsto per le 28.85, ora locale.

L'occorrente per il viaggio l'aveva preparato l'operatore manuale con il sussidio di quello vocale. Kabe mise le fiale nutritive 1000 a portata di mano, nel cosiddetto bagaglio privato.

L'idea di allontanarsi dall'alloggio abituale era stata suggerita (imposta?) dal self-operator che aveva il compito preciso di consigliare gli eventuali spostamenti ad ogni essere vivente. Era una legge adottata alla fine del XXII secolo, quando, con l'ultima votazione pubblica, si era deciso di non ricorrere più alle leggi.

La vita sul pianeta era regolata da due flussi, quello aleatorio e quello conoscitivo. Si poteva scegliere, all'arrivo, a quale fare riferimento. Il flusso aleatorio non comportava conoscenza, ma intrattenimento, alleggerimento, sospensione; quello conoscitivo permetteva di accedere agli archivi storici, forniva informazioni sul passato. La maggior parte dei viventi adottava il flusso aleatorio. Il self-operator lo consigliava sempre come prima scelta.

Kabe aveva scelto il flusso conoscitivo. E quando il visore inserito nel microchip dell'occhio sinistro aveva cominciato a pulsare a intermittenza per proporre immagini abbastanza inusuali: flash scomposti e ricomposti dei secoli precedenti, video di famiglie, esseri viventi dalle fogge strane, aveva cominciato a capire che c'era qualcosa che non andava. La sua reazione iniziale era stata quella più naturale: estrarsi l'occhio e controllarne il funzionamento. Ma non aveva riscontrato nessun tipo di guasto. Avendo adottato il flusso conoscitivo a Kabe era consentita la funzione della deduzione, e quindi aveva capito che si trattava della prima avvisaglia: si richiedeva un cambiamento.

La visita che aveva ricevuto qualche tempo dopo aveva confermato il sospetto. Nell'arco stabilito dell'unico pasto di ogni frazione di anno, alle 0,4.67, una vibrazione fin lì sconosciuta si era impossessata della sua metà inferiore e sul visore interno era apparso un ingombrante consimile. A Kabe non dispiaceva sentire che qualcun altro occupava il suo stesso spazio. Gli occhi ciechi non l'avevano visto, ma quel che restava del senso del tatto lo aveva percepito chiaramente: Kabe sapeva che non sarebbe potuto durare più di un attimo, perché ogni vivente è solo. Infatti, così come era apparso, nell'oscurità infinita che permeava il tutto, era scomparso. Uno scherzo del sistema, sicuramente. La successiva breve ricerca senza filtri sulla rete neuronale collettiva l'aveva convint* che sarebbe stato opportuno partire. Non c'era scelta, l'unico viaggio possibile era quello verso il posto sconosciuto, meta conclusiva di ognuno.

Nell'imperante solitaria esistenza da condurre appena sputati fuori dal tubo dell'origine, erano previste due sole alternative di movimento, a metà tempo e alla fine. Saltata quella della metà – non ricordava di essere mai uscit* da quell'angusto spazio definito da un cubicolo fresco e caldo, morbido e ruvido a seconda del momento-, doveva essere arrivato il momento dell'uscita finale.

La voce sibilante dell'operatore dava le ultime indicazioni sul da farsi:

Tre gradi a destra, sei virgola 15 a sinistra. Mantenere le distanze di sicurezza.

Erano le 28,14, gli aspiranti viaggiatori verso il posto sconosciuto avevano ancora a disposizione 61 microattimi prima della partenza e calò un silenzio denso.

Il rullo trasportatore si mosse impercettibilmente per condurl* al posto che era stato assegnato a quel che restava del suo corpo iniziale.

Al momento dell'espulsione dal tubo dell'origine i cosiddetti esseri viventi avevano a disposizione un corpo fornito di 8 sensi:

il tatto, quel che restava del tatto iniziale;

l'udito, quel che restava dell'udito iniziale;

l'odorato, quel che restava dell'odorato inziale;

la percezione pilifera – per chi aveva la fortuna di arrivare al mondo con la lanugine alla sommità del capo;

la percezione papillare – molto diffusa, interna, appartenente alla parte superiore, definita anticamente come cranio;

il senso radicale – che partiva dalla base verso l'alto e permetteva di continuare a sostenere la posizione eretta, anche se ormai la si utilizzava solo sporadicamente;

il senso centrale – un ancestrale ricordo di quando si nasceva attaccati a una specie di corda la cui perdita lasciava una cicatrice. Da quella corda si irradiava una percezione che oramai sentivano in pochissimi;

il cosiddetto ottavo senso, in via di estinzione. Le vecchie creature ricordavano – ma solo per averlo letto quando ancora esisteva il senso della vista e la lettura era una funzione possibile - che nel tratto tra il senso radicale e il senso centrale erano presenti anche i cosiddetti organi riproduttivi, sostituiti da poco più di un bisecolo da valvole chiuse, cieche, inaccessibili. A differenza dei progenitori, nessun vivente si poteva definire maschio o femmina, non c'erano ruoli, anche perché non c'era convivenza né socialità, si nasceva tutti uguali e tutti uguali ci si ritirava dalla vita.

……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………...(pubblicato nel volume LUCE ed. Studium dic. 2020)

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IL CORRIDOIO DELLA VIRTU'

Ho impiegato tutta la vita a crescere, e crescere significa capire, almeno è quello che ho sempre pensato.

Il compito d'un uomo per bene – mi diceva mia nonna – è imparare a stare al posto proprio e rendersi conto che la virtù sta dietro la necessità

Adesso posso dirlo, perché l'ho capito con l'esperienza: mia nonna si raccontava delle storie, e le raccontava a me. Se la virtù fosse dietro la necessità, non avrebbe senso la definizione che recita il vocabolario: Virtù: s.f., disposizione d'animo volta al bene al di fuori di ogni considerazione di un eventuale premio o castigo

Comunque, nonna, il mio posto io l'ho trovato. Tu non saresti contenta della scelta, non è esattamente quello che immaginavi per tuo nipote, ma fattene una ragione, appartieni a un'altra generazione, una di quelle per cui sistemarsi voleva dire fare famiglia, avere un lavoro, aspettare la pensione, i nipoti e la morte. Voi siete tutta gente che è entrata nelle stanze e non è più uscita, gente che, pensando di vivere, in realtà s'è fermata. 

La maggior parte delle persone si muove tra i corridoi della vita cercando di volta in volta la porta giusta in cui infilarsi. All'inizio l'ho fatto anch'io, per mano alla mamma, che era tua figlia; prima ancora in culla, in braccio, in passeggino. Poi, più grandicello, sono uscito dalla stanza iniziale e ho cominciato a muovere qualche passo nel corridoio, sbirciando di quando in quando dietro gli usci socchiusi. Tu dov'eri? Ti dispiaceva non vedermi più? 

Da piccolo, quando volevo rientrare, accostavo la porta pian pianino, guardavo dentro e mi trovavo a doverla spingere con tutta la forza che avevo in corpo per potermi intrufolare, tanto la stanza era affollata: c'eri tu col nonno, c'erano le zie, le prozie, c'erano papà e mamma, i miei fratelli, quelli più grandi e quelli più piccoli. Troppa gente, tutti convinti di fare la scelta più sensata: stare tutti insieme. Io mi acquietavo per un po' tra le quattro mura di quelle stanze familiari, ma quando, un po' più grandicello, mi pareva di riconoscere l'uscita, mi sentivo liberato, un galeotto riammesso nel consesso civile. Allora restavo più a lungo nel corridoio della vita, guardando con sospetto le porte accostate, ignorando quelle chiuse, fuggendo da quelle spalancate. Da certe si affacciavano invitanti promesse: coetanei che chiedevano la mia amicizia, ragazze che mi proponevano fidanzamenti o amori passeggeri, impegni gravosi o lievi, erano tutti viaggiatori in cerca di compagni di viaggio. Io sostavo per un po' con loro, badando bene a non oltrepassare la soglia, perché volevo restare nella mia zona franca: il corridoio. Dentro le stanze casuali a volte non ho trovato nessuno ad aspettarmi, più andavano avanti i mesi, gli anni, meno persone c'erano.

Il corridoio della vita è stato sempre per me una forma di comfort zone, come si dice adesso: in pratica una zona di scorrimento, dove non c'è bisogno di dar retta alle proposte e non si deve necessariamente scegliere una direzione. Per questo sono rimasto dalla parte dinamica della vita. Presto però mi sono accorto che le cose succedono dentro le stanze. Intendiamoci, un certo tipo di cose: in ogni stanza, che sia piena o vuota, si possono trovare proposte complete di amori familiari, lavori a tempo indeterminato, amicizie richiedenti o donanti, solidità, confronti difficili, conforti e conflitti. Tutto quello che la maggior parte di voi considera vita. 

Fino a un certo punto del tragitto sono stato sorretto da una chiara determinazione: perché mai avrei dovuto lasciare il corridoio, che scorreva liscio davanti a me? Quel percorso quasi privo di ostacoli io lo consideravo la mia scelta saggia, la salvezza da un'esistenza collettiva frammista di sentimenti e emozioni troppo complicati per non essere implicanti. Io non volevo provare odio, gelosia, rivalità, non intendevo affrontare scontri, neppure attriti, il dolore non lo volevo. Così sono rimasto nel lungo corridoio e se ogni tanto sono entrato nelle stanze l'ho fatto per noia, o per curiosità, o perché qualcuno, burloni o persone infide, mi ci ha catapultato dentro con uno spintone, o con l'inganno. Che cosa ho trovato dentro quelle stanze di passaggio? Intanto sempre meno persone: qualche collega di lavori temporanei, qualche compagno per condividere cinema o bagordi, qualche parente ripescato dalla stanza della famiglia, che come me aveva fatto scelte alternative. Begli incontri, a volte, a volte meno. Sempre mi premuravo di assicurarmi che fossero incontri passeggeri. La virtù non andava d'accordo con il bisogno, né con il desiderio. Fermarsi, dunque, avrebbe costituito una deviazione, un pericolo.

Sospendevo il cammino per poco, il tempo di osservare, e poi dimenticavo facilmente le soste: la virtù sta nel movimento, mi ripetevo. ……………………..

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(pubblicato nel volume VIRTU’, a cura di Francesca Romana de’ Angelis, ed. Studium)


Gli incipit dei due ultimi racconti pubblicati.

Nel 2000 uscì una raccolta di racconti che avevo scritto per un mio programma su cibo e letteratura in onda su Radio Uno “Pepe, Nero e gli altri”, da Pepe Carvalho, Nero Wolfe e tutti i personaggi dei romanzi appassionati di cucina. I due detective Pepe e Nero si prestavano perfettamente al gioco.

Manuel Vàzquez Montalbàn, l’autore di Pepe Carvalho, fu spesso mio ospite in trasmissione, ma vennero anche decine di scrittori, da Paulo Coelho a Melania Mazzucco, e conobbi molti poeti della cucina, pasticcieri, pastai, panettieri, tutti con una loro filosofia del cibo.

Oggi sono argomenti inflazionati, ma allora - siamo alla fine degli anni Novanta - non era ancora così.

I racconti furono pubblicati da Mursia editore per la collana Golosia.